martedì 18 febbraio 2014

Nguyen Chi Trung: il più grande poeta vietnamita vivente

nguyen

Roma-Ho conosciuto Nguyen Chi Trung a Roma, la sera prima di Ritratti di Poesia 2014 (l’ottava, bellissima edizione al Tempio di Adriano). A dire il vero io ero un po’ perso essendo la prima volta che partecipavo a questa manifestazione. Ero arrivato a Roma alle 16, poi alle 17.30 da tutta un’altra parte della città avevo tenuto un laboratorio di poesia con la carissima Sonia Gentili (officinapoesia), poi tornato in albergo stavo cercando di capire dove dovevo andare a mangiare. Fuori dall’albergo ho intravisto un volto noto, un volto passato per Pordenonelegge, e ho conosciuto Omar Ghiani, altro ottimo poeta. Così insieme ci siamo trovati in questo ristorante romano dove in uno stesso tavolo si parlava italiano, inglese, francese, arabo. Con la consapevolezza che si sarebbero potute parlare anche altre lingue.
Nguyen Chi Trung era un uomo minuto, sorridente, decisamente stempiato che mi sedeva davanti. Non parlava italiano, ma essendo evidentemente anche lui un po’ perso cercava di intrattenere con me, che gli stavo davanti, un minimo di dialogo che desse ragione a quella cena. O perlomeno togliesse ad essa la noia. Non sapevo ancora di avere davanti il più grande poeta vietnamita vivente.
Quello che mi ha colpito di lui è stato il sorriso, minuto eppure aperto, e gli occhi da studioso. Da poeta. Occhi che sanno dare una consonanza a chi li osserva. Solo un’altra volta nella mia vita mi è capitato di provare questa sensazione: quando sono andato a trovare Zanzotto a casa sua, scavalcando un giardino decisamente malcurato, pochi mesi prima che morisse. Occhi vivi, quelli dei poeti. Occhi di parole.
Nguyen Chi Trung è stato con me una persona estremamente dolce. Parlavamo in inglese, io un inglese stentato di cui continuavo a chiedere scusa e lui rassicurava dicendo No no your english is good. Una gentilezza sorridente quella di Nguyen Chi Trung. Durante la cena abbiamo parlato della cena, molto banalmente, del viaggio per arrivare a Roma, di lavoro, e della poesia. E lì mi ha colpito una sua frase: ho aspettato 35 anni prima di pubblicare. Una frase potente, importante, una frase che ha dentro 35 anni di lavoro e alla fine il riconoscimento d’essere uno dei massimi poeti esistenti. Massimi, più grandi, eppure in un corpo così minuto e gentile.
Il giorno dopo l’ho sentito leggere le sue poesie, e devo specificare che l’ho sentito, non solo ascoltato. Perchè le poesie di Nguyen Chi Trung si fanno sentire sulla pelle, nella carne, non solo nelle orecchie. Una lingua a me incomprensibile il vietnamita, ma densa di musicalità, di ritmo, di sonorità aeree quanto gravi. La poesia di Nguyen Chi Trung è esistenzialista anche se lui stesso rifiuta tale definizione, perchè le definizioni rischiano di essere limitanti, prigionie. Nguyen Chi Trung parla di esistenza, di natura, di universo, di vita. Nguyen Chi Trung parla di saggezza. Quando ha finito di leggere ho dovuto, ho dovuto, andare ad abbracciare questo poeta. Non perchè fossi banalmente commosso, anzi, non lo ero affatto. Ma perchè avevo provato un senso di fratellanza, di vicinanza alle sue parole (che scorrevano in uno schermo in italiano). Avevo sentito di essere di fronte a un maestro. E i maestri vanno abbracciati.
Poi nella stessa giornata, quando il mio inglese ha cominciato a farsi un po’ più coraggioso, abbiamo parlato di Dio (lui non crede in Dio), del problema principale degli esseri umani (lui dice che è il sovraffollamento del mondo che porta all’esaurimento di ogni risorsa), del libro come opera a sé stante rispetto all’autore, della poesia come potenziale bellezza e salvezza.
La giornata è poi continuata freneticamente nei ritmi di Ritratti di Poesia, fino a sera quando ho avuto l’occasione di parlare di nuovo con lui. Il mio inglese, complice anche un ottimo vino e l’ottima compagnia che nel secondo giorno cominciavo a conoscere un po’ di più (oltre a vecchie conoscenze quali Lello Voce, Luigia Sorrentino, Maria Grazia Calandrone), si faceva man mano più discorsivo, o forse semplicemente non badavo più agli errori che facevo (in particolar modo allo sbigottimento negli occhi di Nguyen Chi Trung quando non capiva se intendevo realmente today o tomorrow). E lì abbiamo parlato di famiglia, della mia famiglia, della sua famiglia, di fratelli, di differenze, della solitudine del poeta, della distanza del poeta. Una solitudine e una distanza che nei suoi occhi perdevano l’occidentale senso di dolore per acquisire una sfumatura di bellezza e armonia, di nostalgia. Il tutto mentre una poetessa francese, dall’altro lato del tavolo, si sbracciava perchè credo pensava gli stessi dando fastidio (mentre lui, sempre più dolce, mi rassicurava I want to stay here, with you).
Ho lasciato Roma con un regalo prezioso, un libriccino di poche pagine fatto di semplice carta e inchiostro ma che contiene le poesie tradotte in inglese di Nguyen Chi Trung, e una sua piccola dedica in grafia precisa, delicata, quasi disegnata. Una vera calligrafia. Una poesia che lascia senza fiato per il peso delle parole, per le due tensioni enormi che sa creare: da una parte musica, armonia, ritmo, dall’altra gravità dell’affondo nella vita, della verità comunicata. Le medesime tensioni che il poeta stesso vive ed esprime. Come ho detto è infatti un uomo estremamente sorridente, dal sorriso morbido e piacevole, ma che quando legge diventa serio, non cupo ma preciso, severo. Alla mia domanda su questa trasformazione ha risposto: perchè è così la poesia.







Venti, come potete esaurire il linguaggio
fino alla vera vacuità? La parola,
questa eredità dell’immateriale, non è abissale,
non è indistruttibile e inestinguibile.
L’andare e venire nella forma miserabile –
dell’apparenza effimera, l’unica
che noi abbiamo – tutto ciò soltanto per lasciare
dietro un ultimo foglio, il verso, la poesia?

Da Winds – traduzione di Anna Lombardo

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